La "Rivista di Psicologia Analitica"
nacque
nel marzo 1970 per iniziativa di un gruppo di analisti junghiani. Aldo Carotenuto,
Paolo Aite, Marcello Pignatelli, Nino Lo Cascio e Silvia Rosselli, la figlia di Nello
Rosselli, ne furono i soci fondatori. Nel tempo, prima di giungere alla nuova serie di
oggi, vi furono molti cambiamenti, nuovi membri si aggregarono e altri invece se ne
allontanarono. Già dal primo numero si esplicitava chiaramente lintento del gruppo
di "uscire allo scoperto" e chiarire gli equivoci e i fraintendimenti ai quali,
in Italia, era stata esposta fino a quel momento la psicologia analitica. Almeno
allinizio, è pressoché impossibile separare e distinguere la storia del gruppo
della Rivista (cosí fu poi chiamato nel tempo), dalla nascita in Italia
dellAssociazione junghiana.
Fin dal 1960 un primo gruppo di analisti junghiani si era raccolto intorno a Ernst
Bernhard, una figura straordinaria e ormai leggendaria nel mondo culturale italiano.
Analista berlinese di formazione inizialmente freudiana, Ernst Bernhard, dopo
lincontro personale con Jung e la sua teoria, si stabilí a Roma introducendo così
in Italia per la prima volta le teorie e la formazione junghiana. Bernhard era stato anche
profondamente amico di Bobi Bazlen, che lo aveva molto aiutato a farsi conoscere in
Italia. Intorno a Bernhard si raccolsero cosí le menti tra le piú originali della
cultura italiana. Bobi Bazlen, Adriano Olivetti, Natalia Ginzburg, De Seta, Fellini,
Manganelli e molti altri furono i personaggi importanti che si accostarono con interesse a
Ernst Bernhard traendo da questo contatto stimoli, sostegno e ispirazione per i propri
scritti e il proprio lavoro.
Bobi Bazlen era stato da sempre un convinto fautore della psicoanalisi, la sua amicizia e
collaborazione con Bernhard fu dunque preziosa e molto fertile, ambedue di lingua tedesca,
di grande cultura, ovviamente indirizzata in campi diversi, conoscevano pressoché tutto
ciò che, dal punto di vista della psicoanalisi, valeva la pena di essere pubblicato.
Cosí ebbe origine, edito dallAstrolabio delleditore Ubaldini, la
"Collana di Psicologia e Conoscenza" diretta da Bernhard, e poco dopo, verso il
1961, si radunarono intorno a lui i primi analisti junghiani che insieme a Bernhard
dettero formalmente origine allAssociazione italiana di psicologia analitica (Aipa).
Ma nel 1965 Ernst Bernhard morí improvvisamente: le contraddizioni interne alla giovane e
gracile associazione junghiana, fino ad allora contenute dalla sua presenza, scoppiarono
improvvisamente e metà degli junghiani si allontanarono dallAipa e costituirono
unaltra associazione. Marcello Pignatelli, allievo di Bernhard, a quel tempo
scrisse: "Leredità di Bernhard si è trasmessa allAssociazione di
psicologia analitica, da lui fondata in Italia, ma la complessità e le ambiguità del
personaggio non potevano essere immediatamente interpretate e sviluppate dai suoi allievi,
oltre che per necessarie diversità da lui e fra loro, anche per una insufficiente
elaborazione delle tematiche psicologiche personali. Cosicché alla morte del padre è
seguito naturalmente un lungo travaglio, che ha espresso in contrasti accesi e vibranti le
antinomie del maestro e della materia stessa che lui insegnava".
Fu lelaborazione di quel contrasto e il riconoscimento delle differenze individuali
che condussero un gruppo di analisti dellAipa a dar forma alla "Rivista di
Psicologia Analitica". Il primo numero del marzo 1970, divenuto ormai quasi un pezzo
dantiquariato, proponeva di fornire unampia conoscenza dei contributi che la
psicologia analitica poteva dare, precisando anche i rapporti e il confronto con le altre
scuole. Se promuovere il dialogo tra la psicologia analitica e le altre discipline poteva
rappresentare uno strumento di lavoro e di dibattito, il gruppo redazionale capí subito
che alcune fondamentali intuizioni di Jung dovevano essere rielaborate e talvolta anche
rimesse in discussione. Fu merito della nuova rivista che la psicologia analitica, in
questo suo rinnovarsi, venisse sottratta allangustia della cultura degli estimatori
per aprirsi invece a una dimensione culturale piú ampia divenendo "una disciplina a
impegno sempre più esteso".
Il simbolo scelto a quel tempo a rappresentare la rivista, lelefante, rivisto oggi a
distanza, mi sembra che non potesse che riproporre il tema junghiano
dellindividuazione: nella sua rappresentazione immaginale vi erano infatti già
compresi ma anche celati i contrari, ci veniva riproposto dunque quel dinamismo psichico
cosí caro non solo a Jung ma anche a Bernhard e ai suoi seguaci. Recentemente uno
junghiano londinese, A. Samuels, ha scritto: "Ieredità di Jung ha assunto la
forma di un complesso intrico speculativo che ha ispirato, influenzato, sfidato e in
qualche caso indotto alla collera i seguaci". Ma limmagine che Jung ha
lasciato, molto singolare e molto soggettiva per ognuno di noi, malgrado le
contraddizioni, i sentieri tracciati e spesso lasciati sospesi, ha continuato ad avere
negli junghiani un carattere di luminosità, convogliando le energie come un singolo
interno. Lesser diversi, pur appartenendo alla stessa linea di pensiero, può
evocare disagio se non addirittura il timore di questa soggettività, che forse ripropone
la paura stessa degli aspetti psicopatologici dellindividualità.
Dopo la separazione da Bernhard i suoi allievi si ritrovarono particolarmente soli, anche
oltre i problemi terapeutici, che essi poterono comunque affrontare unicamente con i
propri mezzi, quindi con la loro personalità. La propria personalità e lequazione
personale, se furono da una parte gli elementi cruciali con i quali confrontarsi,
costituirono anche quel "fare creativo" soggettivo che si snodò
allinterno di unipotesi, di una trama e di una impostazione teorica costituita
a priori. Ripensare allora al modo in cui gli junghiani si sentirono capaci di mettere
alla prova il lavoro di Jung, ci conduce immediatamente a comprendere perché si sia
strutturato un gruppo intorno a una rivista che, pur trattando di temi junghiani, ha
sentito la necessità non solo di rimetterli in discussione, ma di confrontarsi sempre
anche con altre teorie e ipotesi.
Al di là delle differenze individuali, lapparente contraddizione che emerge dalla
diversità di interessi, piú clinico per alcuni redattori e piú indirizzato invece al
lavoro teorico per altri, è indicativo della dinamicità delle diverse polarità attive
allinterno del gruppo redazionale. Nella sua ricerca il gruppo non ha mai smesso
limpegno a rifuggire da quella scissione che inevitabilmente si crea quando si
aderisce a una sola polarità, attento alla necessità di favorire la tensione che corre
non solo tra due ma anche fra piú coppie di poli.
Questo mantenere vivo il processo dinamico insieme alle tensioni che ne sono
scaturite e che sono inerenti alle molteplici polarità che via via emergevano, è stata,
a mio parere, lunica strada che ha permesso di recuperare nel tempo quella
concezione politeistica così necessaria per intendere ciò che lanima ha da
esprimere di se stessa e per mantenere al gruppo la sua vera identità. Poiché volgersi
volta a volta verso un punto determinato corrisponde a quello spostarsi
dellattenzione che la mentalità politeistica consente, cioè la facoltà di
concentrarsi monoteisticamente su un punto soltanto fra i tanti punti dello spazio
psichico.
Quellandamento apparentemente a senso unico della rivista nel suo scegliere sempre
un tema monografico, anche se gli articoli nella loro angolatura furono sempre
diversificati, può apparire un modo di procedere monoteistico in un lavoro e in un
impegno che, sia psicologicamente che concettualmente, è invece sempre stato di tipo
politeistico, poiché è solo una concezione politeistica della psiche che è in grado di
ospitare e contenere una concezione monoteistica della medesima, mentre il contrario è
del tutto impensabile.
Scopriamo allora che lindividualità non è mai unicità, ma è spesso duplicità,
il nostro essere è contemporaneamente a due livelli, questo aspetto politeistico che
anche Jung nei suoi più tardi scritti riconobbe come caratteristico della psiche stessa,
quella molteplicità di coscienze parziali che egli descrisse simili a "stelle o
scintille o ad occhi di pesce luminescenti", e che egli riconobbe come contenuti
originari della psiche, ci indica che ogni scintilla non può pretendere la nostra
attenzione e la nostra riflessione nello stesso momento. Sarà il costellarsi di un io
immaginale, di quel "pensiero del cuore", che ci suggerisce James Hillman, è il
pensiero delle immagini, che ci permetterà di guardare in modo non esclusivamente
razionale a tutto ciò che facciamo, quali sono le ragioni per le quali agiamo e qual è
lo stile a cui facciamo riferimento.
Ernst Bernhard aveva voluto, alla sua morte, essere avvolto nel manto ebraico di
preghiera, quel manto che ancora oggi portano i beduini nel deserto della Palestina. Un
rito molto bello e molto antico e profondo, ci dice che ai quattro angoli di questo manto
sono annodati quattro fiocchi che, dopo la morte, verranno tagliati e distrutti. Ciò a
indicare che il defunto non ha ormai più obblighi, così fu fatto a suggerire che
gli obblighi erano ormai nostri, dei suo amici, dei suoi seguaci e di tutti noi suoi
allievi.
Maria Teresa Colonna |